Presentazione MAb

IPOTESI PER UNA MOSTRA ANTITETICA. Alessandro Alfi Fusari Vs Mitsuyasu Hatakeda

di Damiano Perini

Metti caso che due artisti, così, per puro istinto – quell’istinto particolare che per Baudelaire distingue il poeta dalla persona comune –, si siano accordati per una personale a confronto, e io ne sia ancora completamente all’oscuro; e metti magari che questa mostra si tenga non in uno spazio qualunque, ma in alcune delle più belle sale di uno tra i più importanti palazzi di Brescia, il Mo.Ca; metti, ancora, per assurdo, che l’ambito dell’esposizione non sia la solita kermesse di circostanza, ma che l’evento sia previsto nientemeno che per Brescia-Bergamo Capitale della Cultura 2023. E metti, insomma, che una sera, così d’improvviso, mi si chieda di scrivere una presentazione lampo per questa mostra, e allora è bene che butti giù qualche riga. Le premesse – ipotizzabili, certo – ci sono. E non per una mostra passiva, insapore, accomodante; ma tutt’altro: potente, dialettica, antitetica.

Non sono il primo a dire che la rilevanza, ossia la potenza di una mostra sta tutta nell’energia che le forze in campo generano nel loro confronto. Perché è nel confronto che si apprendono le cose in modo tangibile, intuitivo e immediato; si ha nella comparazione, in altre parole, una conoscenza più florida e efficace. E per conoscenza non intendo la presunzione di riconoscere una verità (che in arte non esiste), ma la semplice e progressiva generazione di domande; le quali, si capisce, non si risolvono in una discussione, ma in mera ammirazione – quando non estatica contemplazione. È dalla differenza, e dalla gioia di questa (chi ama la differenza ama la libertà) che l’arte, e la vita, proseguono il loro incedere. E se il confronto è addirittura antitetico, contrastante, allora la risultante sarà tanto più vivida, luminosa, poetica. “Baudelaire vede antinomie ovunque”, ha scritto Alessandro Piperno da qualche parte, “tra Carne e Spirito, tra Male e Bene, tra Spleen e Ideale, tra Natura e Uomo, tra Città e Campagna, tra Dio e Satana. Il suo genio manicheo gli consiglia di non risolvere questi dualismi, ma anzi goderne come il frutto della complessità umana”.

Il dialogo è spesso generativo, è alterità, vicinanza, prossimità, incontro che porta a trasformazione, o reinterpretazione, o revisione, o creazione di significati sempre nuovi. E dunque perché non immaginare da un lato una pratica meditativa, paziente e calcolata, un’azione mossa dai fantasmi interiori che abbia molto del proprio vissuto; e dall’altro un lavoro più fisico, muscolare, spontaneo e noncurante, che veda nel mondo esterno il naturale punto di partenza? perché non contrapporre l’alto e il basso, la visione al concreto, il simbolo al reale, il colore al materico? Perché non opporre quel senso di inquietudine del tutto-pieno a quella ricerca quasi catartica del vuoto assoluto? l’allusione all’evocazione? E allora, perché non far dialogare Alessandro Fusari, in arte Alfi, con Mitsuyasu Hatakeda?

Alessandro Alfi Fusari

Il vedere è principalmente un sentire, ecco perché le opere di Alfi, anzitutto, alludono. Quelle di Alessandro Fusari sono opere estremamente complesse, tutto il contrario di ciò che appaiono; più di uno sguardo è sufficiente per capire che dietro a quel mondo parallelo, alterno e allucinato, fatto di colori sfavillanti e di mostriciattoli apparentemente – e dico apparentemente – simpatici, si nasconde un tetro e inquietante e folle universo distopico. E molto, molto interiore. Alfi ha il merito di creare, facendo proprio un linguaggio ‘boschiano’ vecchio di secoli (come ho già avuto modo di dimostrare sulle pagine di Bengodii.com), dei non-luoghi in cui il suo passato convive incessantemente con un presente reale scandito da crudeltà e ingiustizie. Da Jheronimus Bosch, Alfi eredita il fitto simbolismo, gli scenari apocalittici, e un bestiario spettrale e grottesco, a tratti lancinante. I Setoli (ossia i vermiciattoli, quasi onnipresenti, rappresentano forse il temperamento, la fragilità, la capacità di assorbire gli choc (di ricordo baudelairiano) della vita), Fantasnino, Rebelot, Bunga, Solfanel, L’omino sportif, Papao… divertono quella maschere, forse; quegli esserini parlanti, schiamazzanti a tratti assordanti e irrequieti mettono però angoscia – almeno che non si sia dei sadici. Quella di Alessandro Fusari è una pittura ossimorica: i colori solari e vivaci sono il ponte verso contesti oscuri, enigmatici; anche nelle opere più affollate (quelle in cui l’artista bresciano sa esprimersi al meglio) le figure che ci sguazzano, apparentemente buffe, si rivelano presto violente e atroci. Quello di Alfi è un pop-macabro che convive con la street-art, la sua è un’ironia terribile che cela dolore, molto simile a quella dell’artista tedesco André Butzer. È il tedio del tutto-pieno; un horror vacui profondo e uroborico, che non si conclude e anzi si rigenera ogni volta, e ogni volta colpisce con la stessa, terrificante, intensità.

Mitsuyasu Hatakeda

La tattilità di un’opera è una sensazione che tocca la vista, in modo brusco, violento. Epperò nei lavori di Mitsuyasu Hatakeda la matericità nuda e cruda del ferro si trasforma in evanescenza, quasi fino a sparire, annullandosi; la materia che normalmente si distingue per pesantezza e grossezza, qui, si ritrova in una forma di levità e scioltezza sorprendenti. Se il metodo di Alfi consiste in lunghe sedute di fronte alla tela il cui pennello accompagna il colore con una calma ricercata, Mitsuyasu matura un procedere dalla natura più performativa e fisica. Il filo di ferro utilizzato – che è sempre scarto, materiale di recupero – è modellato seguendo una fitta serie di onduline, e volto a ricreare sagome. Sagome che non alludono, ma evocano figure umane, o grottescamente parti di esse: nei loro umori e debolezze, nei loro vizi e nelle loro virtù. Mitsuyasu è un artista giapponese che vive da anni in occidente, e allora per capire al meglio la sua poetica mi rifaccio a un artista occidentale che per anni ha vissuto in Giappone. Leonard Koren, infatti, ha racchiuso un mondo intero in un libretto di poche efficacissime pagine, forgiando un’estetica conosciuta sotto il nome di Wabi-Sabi. “Il wabi sabi è la bellezza delle cose imperfette, temporanee e incompiute; la bellezza delle cose umili e modeste; la bellezza delle cose insolite…” scriveva nel 1994. Una riflessione non su principi astratti, ma semplicemente sulla “materialità”. Wabi Sabi insomma valorizza la povertà dei mezzi e la quintessenza delle cose, ripudiando ciò che è artificioso; è l’elogio dell’imperfetto e dell’irregolare, e al contempo il rifiuto di ciò raffinato. Al contrario dell'arte di Alfi, la poetica di di Mitsuyasu “si basa su interazioni fluide e ininterrotte con oggetti reali (concreti) nel mondo reale (concreto)”. Ma non solo. Le figure generate (e non create, potrei dire) dall’artista giapponese non ci parlano mediante il materiale – ciò che vediamo – , ma al contrario grazie al luminoso vuoto che questo, per contrasto, lascia – e dunque ciò che non-vediamo. Per questo l’opera di Mitsuyasu non indica ma, silenziosamente, evoca.

Alfi Vs Mitsuyasu

Ecco, in conclusione, perché una mostra che faccia dialogare le opere di Alessandro Fusari con quelle di Mitsuyasu Hatakeda – una “Bipersonale”, appunto - sarebbe un evento artisticamente proficuo, coinvolgente e soprattutto bello. L’uno, per le ragioni spiegate, rappresenta il contrario dell’altro: il primo è allegoria, il secondo è sineddoche. E ecco perché è facile che due artisti di tal fatta, per istinto, e non per un istinto comune, si possano accordare per una mostra, e metti che questa mostra si faccia in alcune delle più belle sale di uno dei più palazzi di Brescia, il Mo.Ca, nell’ambito di Brescia-Bergamo Capitale della Cultura 2023, e mi chiedano di presentarla; e metti che succeda davvero: nell’evenienza, butto già qualche riga: le premesse – ipotizzabili, certo – ci sono, e sono parecchio buone.

DP, marzo 2023



Alessandro Alfi Fusari

Nato il 24 febbraio 1984, Alessandro in arte ALFI, inizia a dipingere nel corso del 2012, al termine di un sofferto percorso di malattia; la battaglia contro il cancro lo porta ad esternare ed esorcizzare il dolore fisico - mentale attraverso la creazione di un mondo “altro”, popolato da balene con il raffreddore (come la little whale tappezzata sui muri di Brescia) e simpatici mostriciattoli dai colori squillanti. Tutto è partito da un incontro ravvicinato con le megattere, sono animali migratori molto legati alla famiglia. Da quel momento capii che la little whale poteva e doveva essere il simbolo di se stesso: un personaggio sempre in movimento, ma con la bolla al naso: simbolo della presenza di un raffreddore, altro non è che la trasposizione del suo trascorso fisico. E’ un personaggio buono e positivo, proprio come lui. Si tratta di un modo per raffigurare se stesso senza per forza dover disegnare l’essere umano.

Caratterizzato da un stile superflat ed estremamente pop, le opere ricordano il tratto di Takeshita Murakami e le rivisitazioni micropop di Tomoko Nagano. Uno degli obiettivi futuri è proprio quello di espandersi anche sul versante orientale, mentre su quello più a occidente è già stato sondato con varie esperienze. Nell’aprile 2015 ALFI ha partecipato alla SOLO section per artisti emergenti di Art Expo NewYork, durante la quale ha venduto due delle cinque opere esibite. ALFIha poi esposto nell’ottobre 2015 a Villa Labirinto (BS), nel marzo 2016 alla Galleria Palazzo Bertazzoli di Bagnolo Mella (BS) e nel maggio dello stesso anno al Laboratorio Studio Design FLART, sempre a Bagnolo Mella. Nell’ottobre 2016 ha presentato le sue opere alla Galleria Civica di Montichiari e nel maggio 2017 al Musil di Rodengo Saiano (BS). Nel luglio 2017 ha preso parte al progetto di valorizzazione “F(o)und Gambara” promosso da un gruppo di studenti della LaBa, eseguendo una performance di live painting nel cuore di Brescia. Settembre-novembre 2017 ha partecipato all’iniziativa ContemporaneaMENTI 2017, promosso dalla Fondazione l’Arsenale di Iseo (BS) e rivolta ai giovani artisti lombardi under 35 e a dicembre dello stesso anno ha tenuto una personale alla Benaco Arte Residency di Simone (BS). Nel gennaio/febbraio 2018 ha portato una personale alla Hive Tattoo Art Gallery a Milano e a marzo dello stesso anno ha esposto a Palazzo Saluzzo di Genova per la collettiva H2O Mostra d’Arte Contemporanea. Nel novembre 2019 ha esposto ad Arte Padova 2019 per la Galleria Colossi Arte Contemporanea di Brescia e sempre con loro, nel febbraio 2020 ha esposto a Affordable Art Fair Milano. arte di Alfi



Mitsuyasu Hatakeda

Non è facile capire se e quanto l’Occidente abbia influenzato l’arte di Mitsuyasu Hatakeda, giovane, non più giovanissimo (è pur sempre del 1974), pittore, scultore, installatore, performer giapponese, che da sette anni vive a Gussago, alle porte di Brescia. Di sicuro, Mitsu, come lo chiamano gli amici, in Occidente si è fatto apprezzare ormai in diverse piazze, da Milano a Parigi, ora è la volta di Ravenna, al Museo Nazionale, dove ha portato un estratto della sua ultima ricerca: volti, corpi, silhouette in filo di ferro recuperato da cantieri in disuso, cascine cadenti, resti di una costruzione, scarti di una demolizione, di norma “ripescato” nello stesso territorio dove le opere vengono esposte.

Con il filo di ferro, Mitsu colma o meglio delimita un vuoto, lo delinea, spesso sospende nell’aria le sue creazioni, le lascia fluttuare appese a un filo o a un gancio. Sono, appunto, primi piani, sguardi, figure distese in una tensione continua tra la forza contorta del metallo piegato a mano e la leggerezza dell’opera aerea, incolore, sottile. Le figure, poi, da singole e isolate, per certi aspetti bidimensionali, nelle ultime realizzazioni cominciano a essere circondate da altre figure che volteggiano intorno, andando a occupare uno spazio più profondo.

«In Giappone c’è un motto secondo il quale “anche le cose e le parole hanno un’anima”», racconta Mitsu, «e soprattutto nelle cose di vecchia data e usate per lungo tempo si dice che Dio dimori. Io ho voluto dare importanza a questi strumenti che hanno svolto un lavoro, ho voluto che avessero un’altra funzione rispetto a quella che avevano. Come? Ho pensato alla bellezza della linea, anzi a una linea che non volevo disegnare, dovevo trovare, capire, plasmare. Trasformare una matassa di filo di ferro che stava per essere buttata via in qualcosa di bello. Ho pensato: “Che spreco gettare una bella sensazione di ruggine”. Allora ho preso quel filo arrugginito e l’ho fatto rivivere come una figura umana».

Laureato in Belle arti all’Università di Osaka, con una specializzazione in architettura di giardini giapponesi, Mitsu ha lavorato come designer e calligrafo, ma fin da piccolo ha sviluppato un grande amore per la pittura, esplorata in ogni sua tecnica, dall’olio all’acrilico, dai gessetti al carboncino, dagli acquerelli all’incisione. Profondamente legato alla tradizione del suo Paese, a lungo ha indagato e reinterpretato tecnica e temi del sumi, l’inchiostro giapponese, unito all’uso del kinpaku, applicazione di sottilissimi fogli di metallo (oro o argento) su carta di riso washi.

Ma è l’uso del filo di ferro che al momento strega e intriga Mitsu: «A Ravenna ho rielaborato in filo di ferro statue classiche di duemila anni fa, appese lungo il corridoio del chiostro del museo, in confronto/incontro con le stesse statue in pietra esposte accanto. Il filo gira quando il vento soffia e i volti del passato, girando su se stessi, scompaiono e appaiono, scompaiono e appaiono».




Alfi + Mitsuyasu Hatakeda
7 aprile 2023 - 21 aprile 2023


*Inaugurazione 7 aprile 2023
Ore 17
....................................
MO.CA
Via Moretto n.78, Brescia
da Martedi a Domenica 15:00 - 19:00
*Lunedi Chiuso

con la collaborazione

   

MAb